Un percorso diventa tale quando semplicemente viene messo un piede davanti all’altro. Un percorso diventa un itinerario nel momento in cui viene descritto il giro che hanno fatto i piedi. Quindi, a differenza di un itinerario, il percorso inizia ad esistere nel momento stesso in cui qualcuno lo percorre. Senza necessità di essere descritto, o di essere in grado di farlo.
A fine marzo, appena rientrata da una breve vacanza a Bucarest con amici, ho sentito il richiamo dello zaino in spalla. Le città mi incuriosiscono da sempre ma, dopo poco, mi rendono insofferente, mi soffocano. E Bucarest è davvero l’emblema del grigio e del cemento asfissiante.
Così il 18 Marzo, trovandomi in Umbria con la mia famiglia, sono partita dall’agriturismo “Poderaccio Alto” a Paciano (PG), luogo immerso nella pace dei colli, custodito con passione da Rebecca e Roberto, dove ormai soggiorniamo circa tre volte l’anno. Tanto che la mattina della partenza sono stata rifornita non solo di frutta secca, mele, acqua e biscotti, ma anche di abbracci e qualche raccomandazione… come succede a casa!

Il loro agriturismo è una delle tappe della Via Romea Germanica e quindi ho pensato che sarebbe stato un ottimo punto di partenza per il mio percorso umbro. Il punto di arrivo non lo conoscevo ancora. Che cosa volevo? Camminare sui colli, riempirmi di sfumature di colore diverse rispetto a quelle a cui sono abituata vivendo in montagna. Volevo delle storie, cercavo la campagna.
Il primo giorno la Via Romea Germanica mi ha condotta, con non poche difficoltà, a Città della Pieve, un piccolo borgo a sud del Lago Trasimeno.
Le nuvole cariche di pioggia mi hanno seguita tutto il giorno e la segnaletica della Strasimeno, l’ultra maratona intorno al Lago che si svolgeva negli stessi giorni, mi ha fatto perdere il sentiero ben due volte.
Da Ponticelli, seguendo il consiglio del gestore di un albergo, ho deciso di procedere fuori sentiero per visitare il borgo di Salci, abbandonato da decenni. La strada che conduce in questo luogo dimenticato non è stata piacevole inizialmente: camminare per lunghi tratti al di sotto della rumorosa linea ferroviaria e attraversare la soffocante A1 passandoci sopra non era di certo quello che mi aspettavo al risveglio. Ma, lasciata alle spalle l’autostrada, mi sono ritrovata a percorrere una strada bianca che tagliava nettamente uno spazio selvaggio. In questa zona non vive più nessuno da tempo, non c’è cura urbanistica; tuttavia ogni elemento sembra essere semplicemente al suo posto.

Purtroppo, proprio nei giorni in cui il #Trashtag Challenge impazzava viralmente sul web, ho potuto constatare quanto ancora ci sia da fare per educare al rispetto dell’ambiente. Infatti tutto era perfetto finché non ho raggiunto il fiume: deodoranti, preservativi, bottiglie di shampoo e di birra ovunque. Anche nelle zone più dimenticate, anche nei paesi in cui non vogliamo più vivere, decidiamo di lasciare le nostre tracce migliori. Lì ricordo di aver gettato il torsolo dell’ultima mela che avevo con me dal giorno prima.
Quando si è soli a volte dei gesti semplici acquistano un valore incredibile: gettare quella mela mentre vedevo tutta quell’immondizia mi è sembrato qualcosa di momentaneamente rivoluzionario.
Salci oggi si presenta come una fortificazione lasciata a sé stessa, dove la vegetazione è tornata a sostituire l’uomo e a guadagnare spazio sulle mura che la circondano. Probabilmente in cerca di lavoro a valle, le famiglie iniziarono a lasciare poco alla volta le loro case (storia conosciuta in molti piccoli borghi italiani) e col passare degli anni qui semplicemente non rimase più nessuno.
L’imponente porta di accesso conduce al cortile interno. Alcune persone incontrate mi hanno raccontato che negli anni ’70 proprio lì ci fu un grande concerto. Molti artisti, tra cui Rino Gaetano ed Eugenio Finardi, furono l’ultimo tentativo di far conoscere un luogo che purtroppo seguì inesorabilmente il declino.

Tappa successiva è stata Fabro e… la sua stazione! Non ne potevo più di quel tempo grigio e così ho deciso di salire sul primo treno in direzione Orvieto. Questa città, nella quale con la mia famiglia avevo scoperto la bottega delle meraviglie “Il Mago di Oz”, mi ha accolta con un’esplosione di sole e primavera. E quanto incide il tempo metereologico su di me l’ho sperimentato all’istante.
Scesa dal treno avevo d’improvviso voglia di trovare un posto in cui fermarmi: mi trovavo ad Orvieto, non sapevo che direzione prendere ma dovevo arrivarci prima del tramonto. Un ecovillaggio, una comunità ospitale o forse una famiglia in campagna. Sono stata talmente fortunata da averle trovate tutte e tre in un colpo solo! Sul Monte Peglia, a Colonnetta di Prodo, esiste infatti “La Terra del Sorriso”.
Questa è la prima parte dell’articolo “Quando il percorso non è un itinerario: la Via Romea Germanica, alla scoperta dei colli umbri.” pubblicheremo la seconda parte dello stesso racconto Venerdì 5 Luglio qui nel blog.
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