C’era una volta una ventiseienne che desiderava fare (e dare) il massimo prima dei 30 anni, questa era la sua priorità. E quando dico il massimo intendo non solo divertirsi e viaggiare, ma anche studiare con passione, realizzarsi come persona e come donna, buttarsi eliminando parecchie paure e…avere un impatto sociale.
Per avere impatto sul mondo, ovvero provare a fare la differenza, ci sono un milione di cose che possiamo fare anche nel nostro piccolo quotidiano. Ma io, con l’avvicinarsi della laurea magistrale, ho cominciato a coltivare un forte desiderio di spendere (almeno) un anno della mia vita in un luogo lontano a fare volontariato. Ed eccomi qua, da tre mesi in Perù, a rispondere su Facebook a ragazze che mi domandano “E se lo facessi anche io?”. La mia risposta è affermativa, senza alcuna esitazione.
Perché fare un anno di volontariato all’estero?
Perché si è giovani una volta sola, e le energie che avete a 25 anni non saranno uguali a 40. Discorso trito e ritrito, crescendo aumenteranno le responsabilità e le priorità andranno cambiando e…bla bla bla. Conosco molte persone che, dopo aver passato i 30 anni, rimpiangono di non aver fatto un’esperienza a lungo termine, come la mia, quando ancora per loro non esistevano le preoccupazioni che caratterizzano l’età adulta.

Perché, egoisticamente parlando, fare qualcosa di utile e che abbia un impatto sull’altro fa sempre bene al cuore. Si impara tanto su se stessi, quanto si è capaci di adattarsi all’inaspettato e al disagio, quanto siamo bravi ad avere a che fare con la diversità, a comunicare utilizzando codici nuovi.
So scendere a compromessi? Che immagine ha l’altro di me?
Il pericolo è quello di sentirsi dei supereroi che portano civiltà, nozioni, saperi, cultura. Non è così, sarete solo due braccia, due gambe e una testa in più laddove ne hanno bisogno, niente di più. A volte non vi sembrerà di fare la differenza, ma in realtà, nel vostro piccolo siete, un pezzetto del puzzle. Non siete indispensabili, ma date una forte mano.
Perché a volte non sappiamo che direzione dare alla nostra vita, e allora un anno di volontariato ai confini del mondo ci sconvolge lo stomaco, ci fa rimettere in discussione ogni certezza, e dal caos si fa chiarezza dentro di noi, e possiamo scoprire che eravamo sulla strada giusta o che dovremmo aggiustare il tiro o cambiare totalmente rotta.

Un anno del genere è un grosso rischio, molti non vi capiranno. Sono quasi certa che qualcuno creda che io stia in vacanza, ma va bene perché è parte del gioco anche questo. Non fatevi scalfire dalle idee degli altri. Un anno di lavoro sociale non è una perdita di tempo e voi lo sapete benissimo. Mamma, papà e amici vari lo capiranno con i loro tempi.
Quando avrete la laurea in mano (o il diploma, poco importa), un po’ di soldi da parte (se non riuscite a essere selezionati per qualche progetto finanziato), le idee chiare sulla partenza e/o avrete mollato il lavoro, sarete pronte. Sembra facile a dirsi, ma è complicatissimo lasciare tutti a casa e andare verso l’ignoto per un periodo lungo. È una scommessa gigantesca e il fallimento è sempre dietro l’angolo. Però è un anno che vi offre la possibilità di trovare quelle benedette risposte che stavate cercando.
A questi vantaggi, unite l’importanza professionale di un progetto di volontariato, e l’impatto che avrà sul vostro CV l’esperienza tosta che avete scelto per voi stesse. Tralascio questioni più grandi, come ad esempio: che impatto ha un progetto di 3 mesi rispetto ad un progetto di un anno? Come trovo i progetti? Avrò abbastanza soldi? Farò davvero del bene? O sembrerò solo un bianco occidentale che vuole pulirsi la coscienza e giocare con i bambini scattandosi belle foto? Quanto buonismo e quanta verità c’è nel volontariato? Etc…
Passo e chiudo, dalle periferie della capitale del Perù è tutto.
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