Ho conosciuto Simona Anedda online, dopo aver letto una sua intervista e ricordo di essermi chiesta subito se potesse avere piacere a essere intervistata anche da noi.
Dal suo sito ho appreso molte informazioni su di lei: ha viaggiato ovunque, ha vissuto ovunque, ha fatto l’Erasmus in Islanda nel 1998, quando Internet non era ancora la fonte di informazione primaria e a 30 anni ha vissuto un anno in Australia. Dal 2013 è malata di sclerosi multipla primariamente progressiva e allora ha cominciato a raccontare i suoi viaggi in sedia a rotelle e a sognare di costruire percorsi di turismo accessibile a tutti.
Ci siamo sentite per telefono, chicchierando per un’ora dei suoi viaggi e della sua vita. Io seduta sul letto, ascoltavo dall’altro capo del telefono una persona solare e socievole, non solo ricca di aneoddoti e avventure da condividere ma anche di umanità e grande determinazione.
Buona lettura!
Ciao Simona, la prima domanda è la nostra domanda di rito: puoi raccontarci qualcosa di te?
Simona è tante cose e di Simona c’è un prima e un dopo. Nella mia vita ho realizzato tutti i sogni e gli obiettivi che mi ero prefissata, perché quando mi metto una cosa in testa divento molto testarda e riesco sempre a trovare il modo di realizzarla. Anche oggi, nonostante la presenza della malattia, ho sogni e obiettivi che voglio realizzare, anche grazie all’aiuto di chi ho al mio fianco. Ho sempre amato viaggiare e ho viaggiato sia per piacere che per lavoro. Oggi porto avanti questa passione con determinazione e senza farmi ostacolare dalla malattia.
Sono una persona solare e socievole, e questa socievolezza mi aiuta soprattutto nei viaggi e negli spostamenti, perché non mi vergogno mai di chiedere aiuto quando ne ho bisogno. Anche quando si tratta di persone sconosciute, la mia sfacciataggine fa in modo che io possa chiedere loro una mano per essere accompagnata ovunque o aiutata quando sono in difficoltà.
Sono di Roma ma i miei genitori sono Sardi. Mi sono laureata all’Accademia di Belle Arti ma ho fatto molti lavori diversi, tra i quali la hostess e la tour leader. L’arte mi ha aiutata a portare avanti i miei viaggi prima della malattia, perché avevo sempre con me i miei acquerelli da regalare a chi mi ospitava o a coloro con cui viaggiavo per lavoro.

Com’eri da bambina? Avevi già mostrato segni di nomadismo o è una passione sbocciata da adulta?
La passione è sbocciata dopo l’Erasmus in Islanda, nel 1998. Avevo trovato una cultura completamente diversa dalla mia e mi ci ero immersa. Paragonando la nostra mentalità a quella islandese, avevo capito che c’era altro oltre al mondo in cui ero cresciuta, e io volevo scoprirlo. Il periodo in Islanda è stato la goccia che ha fatto scattare in me la voglia di viaggiare e di continuare a scoprire cosa ci fosse oltre ai confini dentro i quali ero cresciuta.
Dopo l’Islanda sono arrivate Danimarca, Svezia, Londra – per imparare l’inglese- e New York. Poi a 30 anni è arrivata l’Australia, dove ho vissuto per un anno.
Hai viaggiato con il progetto Erasmus in Islanda negli anni ’90. Quali sono le differenze tra il viaggiare da sola negli anni ’90 e il farlo oggi, secondo te?
Prima di tutto l’informazione. Oggi internet è una fonte inesauribile di informazioni per chi viaggia, mentre negli anni ’90 potevi fare affidamento solo sulle guide cartacee e poi buttarti nell’esperienza, senza sapere del tutto cosa ti aspettasse all’arrivo. Trovo che allora ci fosse un’emozione diversa nel viaggiare.
Durante l’Erasmus in Islanda, comunicavo con i miei genitori mediante le email che potevo mandare solo dai computer dell’università e solo al nostro vicino di casa che stampava l’email e la portava a leggere ai miei genitori. Vivevo in una Guest House con ambienti in comune e ragazzi che provenivano da ogni parte del mondo, e prima del mio arrivo non avevo avuto nessuna informazione sulla struttura che mi avrebbe ospitata.
Anche il modo di raccontare la propria esperienza era diverso. All’epoca tenevo un diario cartaceo in cui registravo ogni esperienza, mentre adesso la carta è stata sostituita da blog e social network e quindi anche il linguaggio e la comunicazione tra le persone sono cambiati.
Dell’Erasmus ho bellissimi ricordi e amicizie che permangono tuttora, tanto che 3 anni fa sono tornata in Islanda e ho incontrato alcune delle persone che avevo conosciuto all’epoca. È stato bellissimo rivederli. Per questo devo dare credito ai social, che mi hanno aiutata a rimanere in contatto con persone che altrimenti avrei perso.
Il contatto con le persone invece è rimasto simile. Come allora anche adesso esistono sconosciuti o amici di amici che possono metterti in contatto con altre persone disposte ad aiutarti, ad ospitarti a darti un passaggio, a mostrarti una città, come a me è successo durante il mio viaggio in India.
Per me invece è cambiato il modo di muovermi. Adesso utilizzo la sedia a rotelle e con questa non passo inosservata. Una donna che viaggia da sola è ancora percepita come insolita dalla maggior parte delle persone. Io viaggio da sola e utilizzo la sedia a rotelle, il che è ancora più insolito. In contesti come l’India, le persone si fermavano e volevano essere fotografate insieme a me perché non avevano mai visto una ragazza che viaggiasse da sola in sedia a rotelle.
Viaggiare per me vuol dire mantenere la mia autonomia, della quale sono molto protettiva. L’ultimo viaggio che ho fatto, da Milano a Roma, l’ho fatto con timore perché non ho più il controllo delle braccia pertanto bere, mangiare o andare in bagno da sola è per me un problema. Sono andata e tornata e sono riuscita a fare questo viaggio. Al rientro ero molto soddisfatta!
Ho visto che hai viaggiato in tutto il mondo, da Est a Ovest, anche in posti molto lontani. Ma in quale fra le mete che hai visitato ti sei sentita più te stessa?
Su come sono io non ho dubbi, mi sento me stessa ovunque vada. Dipende più che altro da come mi fanno sentire le persone che sono con me e dalle soluzioni adottate per le persone con disabilità nei luoghi in cui mi trovo. Ad esempio, è stato molto semplice viaggiare negli USA perché sono attrezzatissimi, non mi sono mai sentita disabile. Dalle spiagge ai lavori stradali, ogni posto era accessibile. Queste situazioni sono molto positive, ma a me piace mettermi alla prova: voglio riuscire a rendere accessibile anche cosa non lo è e sentirmi soddisfatta per aver superato l’ostacolo.
Paradossalmente, i posti più civili, pur di rispettare le regole, talvolta creano invece un disagio. Come ad esempio in metro, dove le fermate accessibili sono le uniche a poter essere utilizzate da una persona con una condizione di disabilità. Dove il concetto di “luogo accessibile” non esiste invece, sono le persone stesse a creare l’accessibilità, adoperandosi per aiutarti a superare l’ostacolo, utilizzando anche soluzioni originali ma efficaci, come mi è accaduto in India, un Paese che mi è rimasto nel cuore.
Ovunque andassi, venivo fermata o ero molto osservata da tutti con curiosità. Persino la Polizia, pur di starmi dietro, mi ha scortata per 2 km, guidando davanti a me, con la mia assistente nel sedile posteriore della loro auto. A me piaceva molto tutta questa curiosità nei miei confronti e anche le sfide che ho dovuto affrontare per visitare il Paese. Ho dovuto arrangiarmi, ma ho fatto praticamente tutto quello che avrebbe potuto chiunque altro. La sfida più grande è stata andare sulle Rive del Gange, difficile anche per una persona normodotata.
So che hai un sogno: quello di progettare e individuare percorsi accessibili in città e quindi di rendere il viaggio e gli spostamenti più semplici a chiunque ne abbia bisogno. Come sta procedendo questo progetto?
L’accessibilità deve esserci per tutti: da chi utilizza la sedia a rotelle, ai genitori con il passeggino, agli anziani che utilizzano il bastone. Ho partecipato al corso WAT (Woman Accessibility Tourism) organizzato da AISM, che mi ha permesso poi di essere selezionata per un progetto europeo sull’integrazione lavorativa delle donne con disabilita. Credo di essere la persona adatta a proporsi come tour leader per testare l’accessibilità dei diversi luoghi. Attualmente collaboro con gli ideatori dell’applicazione Kimap, il primo navigatore per disabili motori, per il quale ho iniziato a mappare le città italiane. Mappare una città vuol dire percorrerla con il navigatore attivo, quest’ultimo percepisce le vibrazioni del terreno e, attraverso colori diversi, segna i percorsi più accessibili. Oltre a questo si possono mappare manualmente percorsi, strutture, passaggi e luoghi accessibili in ogni città. Ho testato l’applicazione e ho già mappato Roma e Venezia e sono in attesa di partire per una nuova città.
Il blog di Simona: www.inviaggioconsimona.org
La pagina FB di Simona: facebook.com/inviaggioconsimona
Questa intervista è stata pubblicata per la prima volta a Giugno 2019, tramite la nostra newsletter.
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