Classe 1992, nata sotto il segno del Sagittario, le Alpi ossolane e il Río de la Plata fanno parte del mio patrimonio genetico, amo le maschere di bellezza coreane, sorseggiare mate con papà e non sopporto i prepotenti.
Negli anni ho fatto indigestione di kachapuri in Georgia, sono stata intervistata dalla TV bielorussa e sono stata trattenuta al confine kazako-uzbeko mangiando biscottini con i doganieri e declinando proposte di matrimonio.

Viaggio da sola perché vorrei rispondere con una frase d’effetto, ma non me ne vengono in mente.
Non credo che debba venire visto come un atto eroico, bensì come qualcosa di normale e consolidato. Gli eroi sono ben altri, non una ragazza che ha il privilegio di poter vivere il mondo e i suoi abitanti.
Nell’ottobre 2019 sono partita per la mia ennesima avventura in solitaria che mi avrebbe condotta dal Paese meno visitato dell’Unione Europea all’ultima vera e propria dittatura comunista.
Questa storia ha inizio il 27 Ottobre 2019 quando per una settimana attraverso da ovest a est la Slovacchia, piccolo dolce Paese nel cuore dell’Europa. Con i suoi paesaggi struggenti, i castelli da fiaba e una storia avvolta nel mistero.
Il secondo capitolo di questa storia mi porterà nella terra del fuoco e del ghiaccio: l’Islanda. Tra turisti schiamazzanti cinesi, eterni silenzi e la natura che in quell’angolo remoto d’Europa da il meglio di se stessa mi spingerò sempre più a est: destinazione Corea del Sud.

Una nazione giovane e dinamica, ma al contempo estremamente fiera della sua identità culturale.
Una realtà ingiustamente ignorata, perchè schiacciata da due giganti: Cina e Giappone.
La seconda città della Corea del Sud, Busan, per me una dolce scoperta come quando si riconosce l’amore vero. Una città che sa di salsedine, forte, aspra, scapigliata, materna e vera.
Mi congedo per due settimane dal kimchi e mi reco in Vietnam per un matrimonio ossolano in salsa vietnamita. Un matrimonio a base di antichi riti, birra a fiumi e l’immancabile karaoke.

Malgrado sia difficile congedarsi dalla gentilezza del popolo vietnamita e dall’ottima gastronomia, mi ritrovo in Corea del Sud tra luci, K-pop e scatenati taxisti ultra settantenni.
Accolsi il nuovo sulla spiaggia di Busan leggermente tormentata dal vento (forse preludio di ciò che sarebbe successivamente successo) per poi trovarmi nel cuore del “Dragone”: Pechino.

Il volto umano scorre lento tra le viuzze pechinesi tra qualche pettegolezzo e l’odore forte di zuppa. Pechino era una tappa intermedia verso il mio obiettivo: la Corea del Nord.
Raccontare la mia settimana in Corea del Nord non è semplice, come non è stato semplice digerire ciò che i miei occhi avevano visto.
Quel poco che abbiano potuto vedere.Un Paese molto controverso, ma dal volto estremamente umano. Una miseria decorosa, non urlata. Anche in Corea del Nord la gente sorride, spettegola, le donne si truccano come le cugine del sud, giocano a nascondino con i propri pargoli e si scattano foto come se non ci fosse un domani.

Rientrata in Cina, dopo poco tempo qual mostriciattolo del COVID19 fece la sua comparsa in grande stile. Sfidando la sorte decisi di raggiungere la città delle mele: Almaty, Kazakistan. Che gioia dopo la dolceamara esperienza cinese passeggiare di nuovo tra le vie innevate di Almaty e poter comunicare senza troppi filtri con i suoi abitanti.
I giorni scorrevano spensierati tra the nero bollente, plov, madrasse uzbeke, la tragedia del lago d’Aral, mercati dai mille colori e profumi e l’ospitalità uzbeka. Malgrado avessi tentato di seminare quell’arrogante, il 2 Marzo ero di ritorno a casa che mi accoglieva sotto una coperta di neve. Il virus era stato più veloce di me.
Questa storia è stata scritta da Francesca Ross
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