“Ognuno si scopre nomade o sedentario amante dei flussi, dei trasporti, degli spostamenti, o appassionato di staticità, di immobilismo e di radici. Senza saperlo, alcuni (…) precipitano a levante per poi rovesciarsi a ponente; si sanno mortali ma si sperimentano come frammenti di eternità destinati a muoversi su un pianeta finito (…); allo stesso modo, altri provano il desiderio di radicamento, conoscono i piaceri del locale e la diffidenza nei confronti del globale. I primi amano la strada, i secondi gioiscono nella tana (…)”.
Estratto dal libro “Filosofia del viaggio”
L’immediatezza del titolo può trarre in inganno chiunque, entrando in una libreria, si prepari ad un approccio leggero di questo saggio. Dopo poche pagine la lettura risulterà ricca di nozioni filosofiche e rimandi ai classici più o meno noti.

Onfray, uno dei più controversi filosofi europei, ci fa dono di un saggio estremamente critico e a tratti quasi criminalizzante nei confronti del moderno viaggiatore (o meglio turista) e della società odierna con le sue ideologie dominanti che “esercitano il controllo, il dominio e talvolta addirittura la violenza verso il nomade”.
Nonostante l’autore lasci apparentemente poco spazio ad una possibile visione differente dalla sua, ogni pagina pone continui interrogativi. L’autore offre, e quasi impone, già risposte ma, tuttavia, il lettore non farà altro che focalizzarsi sulle domande fino all’ultima riga. Sarà dunque il lettore a curarsi di riuscire a mantenere un approccio critico, traendo a mio avviso grande giovamento da questa lettura. Questo è il dono che Onfray ci fa con questo saggio:
la criticità, come qualunque altra cosa, deve essere allenata per mantenersi ed evolversi.

Il libro della Genesi pone all’alba della civiltà l’odio fra due fratelli, Caino, contadino stanziale e Abele, nomade mandriano favorito da dio. La dialettica tra nomadismo e sedentarietà accompagna, secondo l’autore, la storia dell’umanità che sembra ripetersi all’infinito in un vortice di eterna violenza delle civiltà sedentarie su quelle nomadi. Schierandosi apertamente con le popolazioni nomadi, Onfray propone una concezione filosofica che teorizza “l’arte di viaggiare”.
Ogni viaggio nasce dalla lettura di un romanzo, di una poesia o dall’azione di sfogliare un atlante ma, dopo aver acquisito le prime nozioni, il viaggiatore che non voglia recarsi nei luoghi immaginati da turista (o da colone per utilizzare un termine molto più forte) deve spogliarsi delle sue letture per non applicare ai luoghi e alle civiltà che incontra i propri parametri culturali.
In una società contrassegnata dalla diffusione di internet e viaggi low cost, destinazioni anche lontane ma ormai alla portata di un weekend e di monte tasche, occorre domandarsi se esiste ancora il viaggio e chi sia il moderno viaggiatore.
Un’analisi sul percorso del viaggio dalla propria ideazione alla sua conclusione: la scelta della destinazione, il documentarsi, decidere di partire da soli o in compagnia, l’eventuale delusione che il paese visitato non corrisponda all’idea che ci siamo fatti, il partire per ritrovare noi stessi e…
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