
Parolabis è il progetto di quattro traduttrici amanti delle lingue e dei viaggi, Silvia Cancedda, Veronica Cesarco, Tina Sposato e Gabriella Tindiglia.Lì offrono servizi di tradusione e interpretariato e, all’interno del blog annesso al sito, scrivono a proposito delle lingue.
Di solito quando si parla di lingue si pensa all’estero e alle lingue straniere ma l’Italia è un profluvio di lingue diverse, quelle che chiamiamo abitualmente dialetti ma che sono delle vere e proprie lingue.
Quante volte viaggiando nel nostro paese abbiamo potuto confrontarci con i vari dialetti italiani?
Il nostro paese ospita tantissime lingue diverse, che cambiano non solo da regione a regione ma, spesso anche da provincia a provincia. Nell’articolo del Bistrò Parlante di Parolabis che oggi vi proponiamo, si riflette proprio sul multilinguismo proprio di tanti Italiani dovuto appunto all’esistenza dei dialetti.
Facciamo allora un viaggio all’interno di questa peculiarità tutta italiana!

Dialetto è bello
“T’è furb com Gariboja che a stërmava jë dnè ant la sacòcia dj’àutri”, “a lavà a capa o’ ciuccio se perde l’acqua e o’ sapone”, “ce mut biele frut?”, “te lu jabbu nun ci mueri ma nci cappi”, “L magn’ré anc ‘l fisc’ al tren”, “Bsògna spulê quând che tira e vât”, “u immuritu ‘nta la via u immu un su talia” “cu pratica cco zoppu allannu zuppia”
…e così via scorrendo tutto il nostro territorio da nord a sud.
Poco si sa ancora dei dialetti italiani, se non che a un certo punto sono stati “perseguitati” e relegati alla vita familiare o privata. Io non ne parlo nemmeno uno: i miei genitori vengono da due regioni del nord diverse e in casa si è sempre scherzato in dialetto, ma la lingua “ufficiale”, anche lì, era l’italiano. Non è stato però complicato trovare generosi dialetto-parlanti attorno a me per scrivere questo articolo, e questo perché la maggior parte degli italiani di qualsiasi età ha il dialetto nel sangue o per lo meno nelle orecchie.”
La cosa più interessante secondo me, quando si parla di dialetti, è provare a scriverli: nessuno o quasi sa come si fa, dove si deve tagliare la parola, dove va l’accento. È un susseguirsi di domande e dubbi, sorprese e stranezze, acrobazie linguistiche sconosciute. A tal proposito, ricordo ancora il mio primo incontro con Trilussa per le strade di Roma […]”
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*Immagine in evidenza di Cristina Gottardi
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